In
queste stesse pagine Antonio Caputo e Filippo Senatore ricordano
Vittorio Cimiotta, da sempre impegnato nella difficile impresa di
impedire che l’oblio copra una delle fasi più drammatiche nella storia
del Paese, quella della lunga lotta antifascista, che inizia nello
stesso momento in cui nasce e poi si afferma la dittatura e che
l’accompagna per lunghissimi venti anni. Ed ancora oggi molti fanno
fatica a comprendere l’enorme valore di quella lotta, senza di cui non
sarebbe stata possibile la libertà nelle forme che solo
all’Italia furono concesse dai vincitori, senza il lungo “protettorato”
riservato, in forme diverse, alla Germania ed al Giappone.
Vittorio sapeva
bene cosa tutto ciò significasse e lo ha scritto in un libro “la
rivoluzione etica” dedicato a quel mondo plurale e ricco di intuizioni
profonde su quel che sarebbe venuto – ed in particolare a ciò che si
sarebbe dovuto fare il giorno in cui sarebbe stata conquistata la
vittoria.
E’ d’altra parte
il mondo – ed i nomi li trovate nei “pezzi” di Antonio e di Filippo-
che coglie più lucidamente quello che avverrà dopo. E’ ìl mondo che
pensa e lavora per l’Europa unita mentre ancora ci si spara addosso, il
mondo che nelle forme più diverse coglie la illusorietà della ideologia
come “terra promessa”, come sistema chiuso e necessariamente
autoritario di una mitica società di uguali.
E’ un mondo che
nello stesso tempo sa bene cosa allora era necessario: “oggi in Spagna
domani in Italia” come dice Carlo Rosselli a Radio Barcellona, e
non a caso viene assassinato.
Ecco, queste sono
le cose che Vittorio ha portato nella quotidiana attività nella Fiap,
la federazione partigiana fondata su quei valori.
Non credo di dover aggiungere altro per sottolineare quanto ci mancherà.
Mario Artali
Che la terra ti sia lieve
E’ mancato ai vivi il caro Vittorio
Cimiotta, vice Presidente nazionale della Federazione Italiana
Associazioni Partigiane- FIAP, fondata da Ferruccio Parri
e indimenticabile, fervido animatore delle nobili memorie
risorgimentali repubblicane, di Giustizia e Libertà e del Partito
d'Azione.
Nato a Marsala si era legato alla gioventu’ siciliana e agli ideali
risorgimentali del filone mazziniano e garibaldino , rinnovandoli e
rinvigorendoli attraverso le esperienze, i valori e i principi ideali
dei movimenti del Novecento , come in particolare Giustizia e
Liberta’ e il Partito d’Azione, trasferendosi poi a Roma.
Personalita’ di profonda serieta’ , animato da assoluto rigore
morale di impronta azionista , ha militato nel Circolo storico
romano di Giustizia e Liberta’ ed e’ stato fondatore e coordinatore
della Federazione italiana dei circoli di Giustizia e Liberta’.
Legato a personalita’ come Paolo Sylos Labini, Aldo Visalberghi,
Ettopre Gallo, Paolo Barile, Giorgio Garosci, Giorgio Parri, Guido
Albertelli, e’ stato protagonista e animatore della battaglia
promossa a partire dal 1994 da un comitato composto, oltre che da lui,
da Roberto Borrello, Giuseppe Bozzi, Paolo Flores d’Arcais,
Alessandro Galante Garrone, Ettore Gallo, Antonio Giolitti, Paolo Sylos
Labini, Vito Laterza, Enzo Marzo, Alessandro Pizzorusso, Aldo
Visalberghi, e sostenuto da una campagna stampa del settimanale
“l’Espresso”, per l’inelegggibilita’ di Berlusconi monopolista
televisivo e concessionario pubblico , mediante organizzazione di
ricorsi rivolti alla Giunta delle elezioni della Camera che
vennero o respinti con la risibile motivazione che l’articolo 10
comma 1 della legge del 1957 dichiara in effetti che non sono
eleggibili “coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali
di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per
contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o
autorizzazioni amministrative di notevole entità economica”, ma che
“l’inciso ‘in proprio’ doveva intendersi ‘in nome proprio’, e quindi
non applicabile all’on. Berlusconi, atteso che questi non era titolare
di concessioni televisive in nome proprio”
Palese interpretazione da azzeccagarbugli, poiché come scrisse il
presidente emerito della Corte Costituzionale Ettore Gallo “ciò che
conta è la concreta effettiva presenza dell’interesse privato e
personale nei rapporti con lo Stato”.
La battaglia venne ripresa nel 2013 con un pubblico appello a cui
aderirono oltre 200mila cittadini, di cui egli fu primo firmatario ,
con Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Dario Fo, Margherita Hack,
Franca Rame, Barbara Spinelli.
Nel 2013, Vittorio Cimiotta ha dato alle stampe con Mursia un
importante saggio che sintetizza nel titolo tutta la sua storia,
anche interiore, La rivoluzione etica .- Da Giustizia e Liberta’
al Partito d’ Azione .
Un vero e proprio manuale di storia azionista con una introduzione
di Nicola Tranfaglia e una preziosa appendice che riporta un
vasto repertorio biografico dei principali esponenti di quei filoni del
liberalismo, del liberalsocialismo, del socialismo-liberale,
dell'azionismo che continuano a costituire, nel solco delle tradizioni
migliori del liberalismo progressista, del repubblicanesimo, e del
socialismo democratico ed europeista una scuola di pensiero politico,
ma anche una palestra di etica pubblica finora non superata dalle
esperienze di altri filoni dell'idealismo politico novecentesco; i
nostri maggiori.
Oltre a personaggi di primo piano come Piero Gobetti, i fratelli Nello
e Carlo Rosselli, Emilio e Joyce Lussu, Duccio Galiberti, Ferruccio
Parri, Vittorio Foa, Riccardo Lombardi, Ugo La Malfa, Ernesto Rossi
anche grandi figure di intellettuali come Norberto Bobbio, Franco
Venturi, Aldo Visalberghi, Bruno Zevi, Aldo Capitini, Guido Calogero e
altri ancora come Luigi Salvatorelli e Michele Cifarelli in
strettissimo rapporto con l'Ami, per non parlare di Ernesto Rossi e
Gaetano Salvemini e Altiero Spinelli e donne straordinarie come Ada
Rossi, Ada Prospero vedova Gobetti
Il collegamento con la contemporaneità in questo libro si ricava
dall’'aspra critica nei confronti di chi violi il senso del bene
comune, il rispetto delle leggi dello Stato e soprattutto della Carta
Costituzionale.
Da ultimo, stava poco bene e aveva diradato le sue uscite pubbliche,
egli aveva espresso agli amici la sua contrarieta’ ’ alla riforma
costituzionale bocciata dal referendum popolare del 4 dicembre.
L'emozione è profonda, “trattandosi di una rara personalità, che
spiccava e si distingueva nel quadro dei mille tradimenti ideali e dei
guicciardiniani italiani”, come ricorda in un suo toccante ricordo
Nicola Terracciano.
A Vittorio mi legano infiniti ricordi, come la grande manifestazione
trorinese, al Cinema Eliseo del 29 aprile 2001, con Bobbio, Galante
Garrone, Sylos Labini, Pizzorusso, Clasudio Pavone, ove in un sala
stracolma si lancio’, alla vigilia delle elezioni del 2001, l’appello
di Bobbio. Sylos. Galante Garrone per battere col voto la c.d. casa
delle Liberta’.
O come le esperienze nell’ambito della Federazione dei circolo di
Giuisutizia e Liberta’, che ho l’onore dio coordinare, le
tante manifestazioni, i tanti convegnii e le tante interlocuzioni,
tutte nell’idem sentire.
Vittorio, non Ti dimenticheremo. L’azionismo e GL abbrunano le loro bandiere.
Sit tibi terra levis
Antonio Caputo
(In ricordo di Vittorio Cimiotta, testimone degli ideali del
Risorgimento repubblicano, di Mazzini e Garibaldi, di Giustizia e
Libertà e del Partito d'Azione
Antonio Caputo Presidente Coordinatore della Federazione italiana dei Circoli di Giustizia e Liberta’ )
13 gennaio 2017.
La "rivoluzione etica"
Circa 23 anni fa ho conosciuto
Vittorio Cimiotta e ho subito compreso dal suo carattere eretico
un’affinità elettiva che lo faceva rassomigliare a Gravoche, uno dei
personaggio di Hugo che noi eleggemmo in gioventù nostro
eroe delle barricate parigine. Pur di carattere riservato e
timido quando veniva il momento delle battaglie
civili sorgeva l’ eroe con la coccarda mazziniana che si batteva
come un leone per i principi sacrosanti della democrazia.
Vittorio Cimiotta era orgoglioso della sua sicilianità, di Marsala
luogo immaginifico del Risorgimento dove era nato nel 1930. In quella
città da ragazzo. perse i genitori dopo un bombardamento
angloamericano. Di famiglia antifascista sfollato con i familiari
superstiti a Roma studiò in un collegio romano vivendo
l’epopea delle giornate romane della Liberazione. Il cruccio fu
di non aver partecipato direttamente, data la sua giovane età, alla
battaglia dei Gap e delle brigate di Giustizia e Libertà.
Nel Dopoguerra suo luogo di educazione civile è stato il salotto di
Ernesto e Ada Rossi dove egli affinò cultura e saperi avendo come
riferimenti in mondo intellettuale liberal -socialista e repubblicano.
In casa Rossi era assidua Elena Croce figlia del filosofo Benedetto.
Per Cimiotta, orfano di guerra Ada fu una madre gentile e sollecita.
Per ragioni di lavoro egli si spostò in molte città
dell’Umbria e della Toscana ma non perse di vista la politica, nobile
mestiere di ideali senza tornaconto personale e senza guadagni
personali di cariche pubbliche. Fu una sorte di tribuno portatore di
idee nobili, cultore di uomini illustri da Cattaneo a Guido Calogero,
da Carlo e Nello Rosselli ad Altiero Spinelli. Si iscrisse al partito
di Ugo La Malfa e in gioventù seguì le battaglie politiche di
emancipazione per la parità tra generi e quelle
referendarie sul divorzio. Una trentina di anni fa a Roma egli
rimise in piedi il Circolo Giustizia e Libertà dove organizzò convegni
memorabili con i maggiori intellettuali e pensatori liberali e
socialisti. Negli anni a venire da coordinatore dei Circoli ha
creato una rete di persone e pensiero nelle maggiori città
italiane. Membro del comitato dei garanti della rivista “Il Ponte” di
Firenze fondato da Piero Calamandrei, ha scritto diversi saggi di
politica e di storia del nostro Paese. Afferma Cimiotta:
“Siamo i calvinisti della politica, i fanatici dell’onestà, gli eretici
di una società bigotta. Perseguiamo la filosofia del dubbio, la
ricchezza della diversità…rispondiamo solo alla nostra
coscienza”.Vittorio Cimiotta nel suo libro “La rivoluzione etica” edito
da Mursia ha ricostruito i passaggi storici dello scorso secolo.
Secondo il prefatore Nicola Tranfaglia “ il movimento di Giustizia e
Libertà, guidato con mano salda da Carlo Rosselli, esprimeva, con
chiarezza incisiva, le sue critiche all’esperimento comunista,
riconoscendo gli aspetti storici della rivoluzione bolscevica ma,
mettendo in luce nello stesso tempo, quelli negativi maturati negli
anni post-rivoluzionari e sfociati in una dittatura che era giunta a
costruire un sistema contrario alla democrazia e alla libertà”.
Incredibile secondo l’autore il plagio collettivo nei confronti di
milioni di persone soggiogate dalla manipolazione della propaganda e
l’informazione di regime sottesa alla trasformazione della psicologia
di massa.
Cimiotta non ha tralasciato verità scomode nascoste dalla storiografia
ufficiale sui crimini di guerra mussoliniani per non far passare il
fascismo come un regime meno crudele del nazismo. Dopo lo scioglimento
del Partito di Azione dal ‘48 un gruppo di uomini e donne dal comune
sentire hanno continuato la lotta nella società civile e nelle
istituzione democratiche affermando battaglie di civiltà per
l’applicazione della Carta da taluno ritenuta una trappola e da altri
criticata. Cimiotta descrive l’impegno civile con la passione di chi è
stato dentro il processo di rinnovamento e vuole continuarlo
trasmettendo il testimone ai giovani. A questi ultimi soprattutto si
chiede di leggere il libro che trasmette elementi positivi e poetici
come un inno alla vita. Una democrazia nuova che ci liberi dai
monopolio dell'informazione e dal conflitto d’interessi. Solo la
conoscenza dei fatti può suscitare la passione per il rinnovamento del
nostro Paese.
Vittorio Cimiotta vicepresidente della Fiap
l’associazione partigiana fondata da Ferruccio Parri e poi consolidata
da Aldo Aniasi, nel 1996 ha costituito insieme a Alessandro Galante
Garrone, Ettore Gallo, Paolo Sylos Labini, Vito Laterza, Antonio
Giolitti e Aldo Visalberghi il “Comitato per la trasparenza delle cause
di ineleggibilità parlamentare e dei conflitti di interessi”. Una
battaglia lunga e senza tregua condotta senza mezzi con poche voci
eretiche, culminata nel 2013 con l’estromissione dal Senato della
Repubblica di Silvio Berlusconi. Vittorio Cimiotta che ci ha lasciato
lo scorso gennaio, rimane nel cuore di tutti gli amici da Italo
Pattarini a Mario Artali, da Gino Morrone a Giorgio Galli. Soprattutto
dei familiari e della adorata figlia Bianca.
Filippo Senatore
Una guerra culturale e politica
Il resoconto di una guerra culturale
e politica, combattuta con le idee e con le armi, in quel campo di
battaglia che fu il Novecento totalitario, e lungo i sentieri montuosi
che portarono alla Repubblica e alla Costituzione, negli anni che
precipitarono dalla fondazione del movimento Giustizia e Libertà alla
formazione del Partito d’Azione. Vittorio Cimiotta ripercorre quegli
anni decisivi, quei sentieri tortuosi e insidiosi, quel campo di
battaglia aspro e incenerito; indugia sul tormentato ed esaltante
passato ma non distrae lo sguardo dalle macerie morali e materiali del
presente. Esploratore del tempo, Cimiotta ricostruisce un’epoca e
un’epica, la prosa e la poesia di quella certa idea dell’Italia che
lotta contro l’Italia del fascismo e l’Italia del compromesso: l’eterna
Italia del trasformismo, l’interminabile autobiografia della nazione.
Pagine appassionate e appassionanti, quelle del suo libro, che
foscolianamente esortano alla storia.
La passione è uno dei tanti sentimenti che caratterizzano le vicende
storiche di Giustizia e Libertà e del Partito d’Azione. Non il furore e
il clamore urlato e scomposto di altre storie ma la passione, lo
studio, la disciplina, il sacrificio, l’etica di uomini e donne che
credettero, agirono e soffrirono senza arrendersi, nell’olocausto e
nella diaspora dell’azionismo, bevendo fino in fondo la socratica
cicuta di un Risorgimento tradito, di una Resistenza tradita, di una
Repubblica e di una Costituzione tradite.
Il Partito d’Azione, con i suoi trentacinquemila partigiani delle
formazioni Giustizia e Libertà, fu, nella lotta di liberazione, secondo
solo al Partito Comunista in termini organizzativi e di partecipazione;
il numero dei suoi caduti, rapportato alla cifra dei suoi effettivi, lo
rende addirittura il primo partito della Resistenza.
E’ stato definito “il partito dei fucili” ma fu anche il partito degli
ideali, delle idee che vogliono diventare azione: nazione armata,
pensiero e azione, guerra e Costituzione, Mazzini, Pisacane, Cattaneo e
Garibaldi; sono i momenti culminanti e le idee dominanti di questo
partito la cui breve ma intensa esperienza intreccia idealmente, in un
nodo tricolore, Risorgimento e Resistenza, Repubblica Romana e
Repubblica Italiana, giustizia sociale e libertà nazionale, la
biografia di una certa idea della Patria, l’Italia nuova.
Se il movimento fondato da Carlo Rosselli è l’antefatto del “partito
nato per agire”, è necessario inoltrarsi nella foresta della storia per
ricercare le radici da cui il Pda germoglia e che si ritrovano in
quello che fu, parafrasando il titolo di un significativo libro di
Alessandro Galante Garrone, «l’albero della libertà: dai giacobini a
Garibaldi» (Firenze, 1987). Dal giacobinismo il Partito d’Azione
attinge uno stato d’animo e un metodo: la tensione morale e il
pragmatismo riformatore, per dirla con Piero Ignazi (I partiti
italiani, Bologna, 1997); è invece dalla cultura politica italiana che
il PdA trae aspirazioni e ispirazioni, a cominciare dal pensiero
politico risorgimentale. La radice risorgimentale del partito è in
quella democrazia rivoluzionaria che considera il Risorgimento una
rivoluzione politica, sociale, morale. Il Pda s’ispira al socialismo
militare (non militarista) di Garibaldi, al socialismo nazionale (non
nazionalista) di Pisacane, alla democrazia dei doveri di Mazzini, alla
democrazia federalista di Cattaneo. La radice antifascista del Partito
d’Azione, ancor prima che in GL, è nel nucleo d’idee e uomini che si
forma intorno alle riviste «Non Mollare!» e «Quarto Stato», originate
dalla “protesta morale” contro il fascismo. Una protesta che intende
tradursi in atto, con la mobilitazione del proletariato e dei ceti
medi, e con l’innesto di contenuti sociali nella gobettiana rivoluzione
liberale. E’ a quel punto che Carlo Rosselli può fare i conti con il
marxismo ed elaborare il socialismo liberale mentre Guido Calogero
getta le fondamenta del suo liberalsocialismo. La socializzazione dei
mezzi di produzione e la collettivizzazione dei mezzi di produzione
trovano così un denominatore comune nella libertà e nella democrazia.
Il socialismo liberale di Rosselli e il comunismo liberale di Calogero
trovano una sintesi liberale e democratica. Il Pda fu il rinnovamento
delle grandi ideologie fermentate nell’Ottocento: socialismo,
liberalismo, comunismo. Con il Pda esse diventano qualcosa di nuovo,
d’inedito, di unico nel panorama delle culture politiche europee:
diventano riformismo rivoluzionario. La rivoluzione non ha più bisogno
della dittatura di classe per compiersi, il riformismo cessa di essere
un’anchilosata pratica amministrativa per diventare slancio vitale,
azione che sovverte, legge morale che crea istituti nuovi, forme nuove
di convivenza politica ed economica. Se la rivoluzione si attua con le
riforme, e se le riforme devono sovvertire l’esistente affermando
quella democrazia politica ed economica fondata su eguaglianza e
associazione, è necessario agire con volontà. Si potrebbe vedere, in
questa frenetica ricerca dell’azione e della volontà, l’ombra di Sorel
o di Nietzsche o di tutta la cultura dell’azione che fermenta nel primo
Novecento; ma si rileggano le pagine di Carlo Rosselli, si riscopra
l’amicizia umana e intellettuale del Mazzini col filosofo tedesco, si
rivedano le gesta di un Pisacane e si scoprirà che dovere, volontà e
azione sono fattori storici essenziali per una politica che, invece di
ridursi a mera gestione contabile dell’esistente, vuole dare e
preservare un destino di giustizia e di libertà ai popoli.
Nella prima parte del volume le questioni qui accennate sono affrontate
non dal punto di vista della filosofia politica bensì da quello della
storia politica. Una scelta condivisibile per un’opera che si propone
(come scrive l’autore nell’introduzione) «una finalità didattica
destinata prevalentemente ai giovani» (p. 17). L’analisi della scena
politica, del resto, è il primo e più delicato momento della formazione
culturale e richiede l’ausilio della storia come strumento
interpretativo; acquisite le basi della storia politica è possibile, in
un secondo tempo, introiettare la filosofia politica. E’ necessario
“conoscere” prima Carlo Rosselli e il suo volontarismo per comprendere
poi il senso di ciò che egli scriveva nel giugno 1934: «bisogna essere
pronti a uccidere ancor più che a morire» (Quaderno di Giustizia e
Libertà, n. 11, serie II); ancora qualche anno e poi il celebre «oggi
in Spagna, domani in Italia», esclamato a voce alta dal fronte
repubblicano della guerra civile spagnola. Siamo lontani dal mito
fascista della bella morte cercata o procurata per “credere, obbedire e
combattere”; e distanti dall’infelice scienza del fine che giustifica i
mezzi. Qui c’è l’etica del combattimento tra l’essere e il non essere,
la dura e faticosa intransigenza assoluta, il sacrificio dell’azione
«d’uomini – scrisse Mazzini – che intendono a conquistarsi la libertà
in nome e con le forze della nazione. Insorgete comunque; insorgete
anche pochi» (Scritti editi e inediti).
Nel capitolo conclusivo della prima parte, il cui titolo riprende
quello del libro, emergono la ragione, la missione, il sacrificio, la
moralità della lotta portata fino alle estreme conseguenze: la
rivoluzione etica è la trasformazione dell’egoismo in altruismo.
Cimiotta lo spiega con efficacia: «l’alternativa è tra l’avere o
l’essere, cioè tra l’egoismo o l’altruismo» (p. 184). Questo conflitto
tra egoismo e altruismo caratterizza le pagine del libro, che trattano
di ogni ambito della vita umana. Tutto dipende da quella scelta:
istituzioni, forma e modello di Stato, sistemi economici, stile di vita
individuale e collettiva, legislazioni, priorità dell’agenda politica.
Per quella scelta rivoluzionaria ed etica bisogna essere disposti a
morire ma anche ad uccidere.
La seconda parte del volume, affidata dall’autore alle penne di
prestigiose figure che hanno realizzato il mosaico del ricordo
collettivo, è dedicata agli uomini e alle donne che fecero quella
scelta, che si batterono per l’altruismo, per l’essere: gli uomini e le
donne di Giustizia e Libertà e del Partito d’Azione; un monito per chi
oggi è chiamato quotidianamente a scegliere. E chi sceglie l’altruismo
trova nel libro un patrimonio di proposte, valori, programmi che furono
del Partito d’Azione e che sono straordinariamente attuali; così come
straordinariamente attuale è la Costituzione della Repubblica, che
Cimiotta definisce «la migliore del mondo» (p. 17).
Quanto Risorgimento c’è nella Costituzione, quanta Resistenza, quanto
Partito d’Azione; ma quanto abbandonata è la Costituzione, quanto
tradita e violentata! Nella luce chiaroscurale dell’alba repubblicana
Ferruccio Parri si batteva per unificare le forze dell’altruismo,
teorizzava che l’unità della Resistenza doveva essere difesa a ogni
costo perché diventasse il fondamento di quella rivoluzione democratica
che l’Italia non aveva mai avuto; e che non ha ancora perché tradita
dalla transigenza di chi scelse il compromesso, di chi accettò il
bipolarismo mondiale, il connubio tra egoismo e altruismo, le
consorterie e gli affari che portarono alla globalizzazione. In quel
mondo dominato dai partiti e dai signori delle tessere, non c’era
spazio per il Partito d’Azione. Nella prefazione Nicola Tranfaglia
scrive che al Partito d’Azione sopravvisse la fede azionista e che
«l’assenza di un partito della Costituzione ha eliminato gli anticorpi
necessari a difendere la nostra democrazia» (p. 12). Qualcosa di simile
era già accaduto all’indomani dell’unificazione nazionale, quando al
Risorgimento della Nazione non seguì quel Risorgimento delle masse
auspicato dalla democrazia rivoluzionaria.
E’ nota la tesi storiografica della drammatica fine del PdA dovuta
all’esasperata divergenza interna tra una destra e una sinistra del
partito. Bisogna revisionare questa tesi. Il Partito Socialista
Italiano sopravvisse alle numerose scissioni e alla quotidiana lotta
interna tra riformisti e rivoluzionari, sopravvisse ai tracolli
elettorali, a tangentopoli e oggi ha un proprio rappresentante al
governo della Repubblica. Il Partito d’Azione, in realtà, cominciò a
morire con l’esautoramento del governo Parri, che segnò la fine di
quella rivoluzione democratica, etica, che l’Italia non aveva mai avuto
e che impaurì le consorterie sopravvissute al fascismo; cominciò a
morire quando l’idea della repubblica presidenziale di Calamandrei fu
sconfitta alla Costituente, cominciò a morire quando l’idea dell’Europa
terza forza tra Russia e America fu sconfitta a Potsdam. Ci saranno
tempo e modo di approfondire la questione.
Vittorio Cimiotta scrive che «la tradizione azionista fa parte di
quella minoranza eretica sempre perdente» (p. 16), e accenna alla
condizione permanente di solitudine in cui si trovò il Partito
d’Azione. E’ l’ora che i “soli” si uniscano e che le minoranze tornino
a fare la storia, che non è per niente finita come qualcuno ha tentato
di far credere.
Michelangelo Ingrassia
Docente di Storia Contemporanea all’Università di Palermo
su : Vittorio Cimiotta, La rivoluzione etica. Da Giustizia e Libertà al
Partito d’Azione, prefazione di Nicola Tranfaglia, Mursia, Milano 2013,
pp. 368
da IL PONTE -rivista fondata da Piero Calamandrei
Anno LXX n.5 - maggio 2014
Un prezioso testimone
Vittorio Cimiotta è un prezioso
testimone delle vicende del Partito d'Azione tuttora vivente.
Nell'immediato secondo dopoguerra aveva preso la tessera della Fgr
provenendo dai giovani simpatizzanti del Pd'A scioltosi nel 1947 dopo
il grave insuccesso elettorale del 1946 che ne determinò l'anno dopo lo
scioglimento. Oggi Cimiotta è un dirigente nazionale della Fiap,
Federazione Italiana AssociazionI Partigiane che raccolse i reduci
soprattutto delle formazioni militari partigiane delle Brigate
Matteotti, Mazzini e di Giustizia e Libertà che ebbero un ruolo assai
rilevante nella Lotta di liberazione nazionale, oltre che essere un
socio della Mazziniana. L'obiettivo del libro di Cimiotta non è quello
del saggio accademico, ma di un vero e proprio manuale di storia
azionista con una introduzione dello storico Nicola Tranfaglia e una
preziosa appendice che riporta un vasto repertorio biografico dei
principali esponenti di quei filoni del liberalismo, del
liberalsocialismo, del socialismo-liberale, dell'azionismo che
continuano a costituire, nel solco delle tradizioni migliori del
liberalismo progressista, del repubblicanesimo, e del socialismo
democratico ed europeista una scuola di pensiero politico, ma anche una
palestra di etica pubblica finora non superata dalle esperienze di
altri filoni dell'idealismo politico novecentesco. Prevale, nella
chiave di lettura di Cimiotta, prima di ogni altra valutazione di
ordine ideologico o politico, il giudizio morale sulle virtù che la
grande maggioranza prima dei giellisti e poi degli azionisti seppero
dimostrare sia negli anni della cospirazione antifascista, sia in
quelli della lotta militare sia essa combattuta in Spagna a fianco
dell'esercito repubblicano, sia nelle formazioni partigiane fra il
settembre del 1943 e l'aprile del 1945. Il collegamento con la
contemporaneità in questo libro è espresso dall'aspra critica che
l'autore ha nei confronti di chi violi il senso del bene comune, il
rispetto delle leggi dello Stato e soprattutto della Carta
Costituzionale. Se da un lato Cimiotta esalta la lotta dei partigiani
non si censura quando esprime la netta condanna di alcuni misfatti
attuati da una ristretta minoranza di partigiani che si sarebbe dovuto
perseguire penalmente senza indugio o il dramma delle foibe praticate
contro settori della popolazione italiana istriana e giuliano-dalmata.
Nell'album di famiglia delle grandi correnti che diedero vita prima a
Gl e poi al Pd'A sono anche raccolte le schede di 55 fra i più
importanti dirigenti di quella straordinaria esperienza umana e
politica. Oltre a personaggi di primo piano come Piero Gobetti, i
fratelli Nello e Carlo Rosselli, Emilio e Joyce Lussu, Duccio
Galiberti, Ferruccio Parri, Vittorio Foa, Riccardo Lombardi, Ugo La
Malfa, Ernesto Rossi anche grandi figure di intellettuali come Norberto
Bobbio, Franco Venturi, Aldo Visalberghi, Bruno Zevi, Aldo Capitini,
Guido Calogero e altri ancora come Luigi Salvatorelli e Michele
Cifarelli in strettissimo rapporto con l'Ami, per non parlare di
Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini e Altiero Spinelli e donne
straordinarie come Ada Rossi, Ada Prospero vedova Gobetti. Il quadro
che se ne riceve è assai utile per definire a 70 anni dalla fine della
Seconda guerra mondiale quanto grado di sacrificio vi fu in chi,
giovane o maturo che fosse, concesse alla sintesi fra libertà e
giustizia il massimo della intensità esistenziale. Uno sprezzo del
pericolo che non era lo sciupare la propria vita, se mai il contrario.
La continuità fra un Primo ed un Secondo Risorgimento praticato prima
nelle coscienze di minoranze e poi diventato patrimonio di tanti anche
se non sempre con lo spessore interiore capace di tradurre in scelte
radicali e definitive anche di tipo esistenziale. Per queste ragioni e
per il valore attibuito alla Repubblica il libro di Cimiotta si iscrive
nel solco della migliore pubblicistica al servizio di quelle
aspirazioni che travalicano le urne, i sepolcri, gli stessi luoghi
delle memorie.
Pietro Caruso
recensione su: IL PENSIERO MAZZINIANO
PERIODICO DELL'ASSOCIAZIONE MAZZINIANA
ANNO LXIX - NUMERO 3 - SETTEMBRE - DICEMBRE 2014
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